stadio

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L’ingresso determina il punto di vista. Come in uno stadio, a seconda dell’ingresso cambiano le persone. Locali od ospiti. Giornalisti o atleti. Così l’evento, il suo sviluppo e il suo esito, producono valutazioni differenti.
E poi c’è il momento. Quando si entra, in quale gara fra tante, e a che punto della gara. Prima, durante o dopo, quando è già finita, col rischio di giungere troppo tardi e trovare i cancelli chiusi. O troppo presto, coi cancelli ancora chiusi, o aperti solo per pochi.
Tante metafore possono nascere correlando l’esperienza di uno stadio coi casi della vita.
C’è un suono che suona diverso ad altri, perché la propria esperienza uditiva è stata malleata in un certo modo, associandone taluni significati. Ci può essere un evento che piace troppo o non piace affatto. Il dilemma sorge a chi, nonostante abbia numerosi semi culturali alla portata, non riesca a far attecchire alcuna passione nella propria mente. Forse questa è uno stadio in cui si gioca sempre a porte chiuse, così non è necessario entrare, basta attendere il risultato fuori, dedicandosi ad altro, o annoiandosi. Si rischierà di non vedere lo spettacolo della gara, ammesso che sia uno spettacolo, e che interessi davvero. O lo si vedrà dopo, magari in sintesi, con la sensazione di aver mancato qualcosa quando il mondo allineato a un modello che funziona era lì. C’è il rischio di giungere tardi, al punto da sentirsi isolati e diversi poiché esclusi dalla sequenza lineare che porta alla conquista di consapevolezze generiche. 
Chi è dentro lo stadio, quando accade qualcosa di popolare, conosce meglio il gioco, perché lo osserva, salvo distrazioni, lo descrive, lo regola o lo pratica. E si sente parte di una comunità la cui importanza è data dalla popolarità e la cui forza è data dalla coesione. Le distrazioni sono colmate da interpolazioni superficiali, a volte fantasiose, prendendo spunto dalla presunta spiritualità che colma i vuoti della scienza. Fuori dallo stadio, invece, ci si sente ignoranti. Ma perché non si è dentro, dunque? 
Si era presi da altre discipline? O ci si era addormentati troppo a lungo nel corso dell’evento? Si temeva di entrarvi, o di non poterne più uscire? 
E poi, mancando l’evento, si è perso davvero qualcosa di rilevante per arricchire la propria conoscenza, e per elaborare nuova esperienza? O si è invece speso meglio il proprio tempo lontano dal fulcro di attrazione, facendo altro, o non facendo nulla? Col tempo forse lo si capirà. Perché il tempo non dice mai nulla, ma aiuta a comprendere, se lo si vuole. Ma ogni comprensione è mediata dalla propria storia.